2015-02-01 La MOSTRA in Cattedrale
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L’onda lunga
di Millet
In prima fila un nutrito drappello di ragazzini delle elementari; dietro, un’onda di persone che vanno ad occupare il transetto e la navata centrale del grande Cattedrale: gruppi di studenti, famiglie, amici, e anche singole persone che si muovono raramente di casa la sera.
Millet è un’attrattiva. Lo stile della sua pittura o le figure che dipinge? Il suo mondo pieno di umanità o i primi piani che si stagliano sullo sfondo della luce?
C’è da dire che pure la presentatrice della Mostra è attesa. Qualcuno – introduce Pierluigi Bellemo - ha già letto il catalogo della Mostra da lei curata; qualche altro l’ha sentita che presentava il Duomo di Milano o il Campanile di Giotto al Meeting di Rimini o altrove. Più di trecento persone rimangono incollate ad ascoltarla per oltre un’ora. Lei comincia il discorso da lontano, anzi, dal cuore della questione.
Il lavoro, che per il mondo antico interpretato da Seneca è il nemico, per il mondo cristiano vissuto da San Benedetto è strada di salvezza, proseguendo la via di Gesù, nobile lavoratore fino a trent’anni.
Che cosa ha ridotto il lavoro a merce? Tra i primi a denunciarlo, il poeta francese Péguy che agli inizi del Novecento vi contrappose le guglie nascoste delle cattedrali e la sedia impagliata, lavorate con pari dignità. L’ultimo della dignità del lavoro fu Millet. Si era a metà Ottocento, negli anni del Cstirpe dei pittori a cogliere i bagliori della apitale di Marx. L’epidemia insorta a Parigi costrinse Millet a rifugiarsi con la famiglia in campagna, in un paesino amato dai pittori: di là la foresta, di qua i campi.
Millet dipinse il lavoro dei campi, con gli uomini e le donne. Pazienti nei gesti ripetitivi, all’alba di una giornata piena di promesse, le tre spigolatrici, il gruppo disteso nella pausa di mezzogiorno, la pastora in un mare di pecore, la mamma che allatta il bambino, l’altra che impone il silenzio al visitatore perché il bambino dorme, l’altra ancora che insegna alla figlia a ricamare, e via via fino alla pace della preghiera dell’Angelus, simbolo della Mostra e della vita cristiana. Anzi, fino al seminatore solitario, il primo dipinto agreste di Millet. Se ne accorse ben presto Van Gogh, che elesse il suo predecessore a maestro e padre e iniziò a copiare, come il pianista ‘copia’ un pezzo di Beethoven, e lo riprodusse più volte uguale e diverso, fino a immergerlo nel sole dei campi.
Si diventa se stessi seguendo un altro e in questo modo si sviluppa il genio della originalità. Per Millet la bellezza non sta solo nei volti, ma nell’intera persona, nel gesto che compie, nell’atmosfera in cui è immersa, nel rimando che suscita.
Anche i bambini ascoltano e guardano fino alla fine. Le parole di Mariella Carlotti si riflettono nel grande schermo posto sul presbiterio della Cattedrale, che riproducono la bellezza dei dipinti. La promessa è quella di potervi ancora sostare davanti ritornando a visitare la mostra, che rimane esposta in Cattedrale fino a domenica otto febbraio. E intanto, una cinquantina di persone si sono accaparrate il catalogo della Mostra di Millet, per custodire negli occhi e nel cuore le cose viste e udite, e dirle a tutti. 30.1.2015
La Mostra rimane esposta in Cattedrale fino a domenica 8 febbraio 2015
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