2012-01-01 Festa di Maria, Madre di Dio
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Luca 2,16: “I pastori andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”…
Per la festa di Maria Madre di Dio, è da leggere insieme un intenso e delicato testo che un autore imprevedibile, J.P.Sartre, inserì in un dramma scritto e rappresentato nel Natale del 1940 per i suoi compagni di prigionia nel campo di Treviri. La storia ruota intorno alla figura di Bariona, capo di un villaggio vicino a Betlemme ed è ambientata all’epoca in cui la Giudea era oppressa dai Romani. Vi risplende la descrizione della maternità umana e divina di Maria. La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti, la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride. Questo è tutto su Gesù e sulla Vergine Maria. E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama assomigli a Dio, quanto già sia vicino a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare". Jean-Paul Sartre, Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per Cristiani e non credenti, Cristian Marinotti Editore, Milano 2003
Natale con Sartre A uno sguardo anche appena consapevole, il Natale lascia attoniti. Dio – il tutto, l’infinito - si è fatto uomo, ha preso un volto, il volto di tutti noi e di tutti gli uomini e la fattura di tutte le cose. E’ possibile guardarlo, accarezzarlo, abbracciarlo, e poi dipingerlo, figurarlo, rappresentarlo. Occorrono parole grandi e vere per dire questo, come sono quelle di un autore imprevedibile, Jean Paul Sartre, in un dramma rappresentato nel Natale del 1940 per i compagni di prigionia nel campo di Treviri. La storia è ambientata in un villaggio vicino a Betlemme all’epoca in cui la Giudea era oppressa dai Romani. Vi risplende la descrizione della maternità umana e divina di Maria. La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il sen, e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti, la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante… Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive… Come è possibile a noi partecipare di questa tenerezza, se non incontrandolo oggi, vivo e presente? Dove, se non nel sacramento che lo contiene e dal quale tutto lo spazio umano prende nuova forma e aspetto, fino a dire la verità di quel che siamo realmente, noi divenuti carne della sua carne come egli è divenuto carne della nostra carne? Dal sacramento alla vita, dalla chiesa alla casa e alla strada, dal segno alle persone. Una densa e fitta rete di carità e di speranza tiene su il mondo e gli impedisce di crollare. Nel considerare questa tessitura che attraversa le nostre città, improvvisamente mi invade la certezza del Dio presente. Come sarebbe difficile credere nel Dio soltanto creatore e lontano nei cieli. Resterebbero trattenute le domande sul bene e sul male. Invece Egli ha invaso tutti gli spazi dell’esistenza umana, dalla nascita alla morte, dalla condivisione all’amicizia, dal timore alla speranza. Si è posto a un nuovo inizio della storia e la permea nella vita di colore che credono in lui. La certezza su di Lui si innalza non in un costruzione di pensieri, ma nell’esperienza di fatti che accadono. Il nostro Natale, e quel che segue, è il fiorire di questa presenza.
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