2016-02-21 Domenica della Trasfigurazione
|
IL NOSTRO TABOR
Mi domando perché Gesù s’è portato sul Tabor, il monte della Trasfigurazione, Pietro, Giacomo e Giovanni. Perché loro tre e non tutti i dodici apostoli. Perché loro e non altri; loro e non noi. Quello che i tre hanno visto, li ha travolti nel corpo e nell’anima, per un’attrattiva invincibile e permanente, che Pietro ricorda ancora anni dopo scrivendo ai nuovi cristiani: “Non siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma siamo stati testimoni oculari della sua grandezza… mentre eravamo con lui sul santo monte” (Cfr 2 Pt 1,16-18).
A noi, venuti dopo, che cosa è rimasto dell’incanto di quella visione? Uno spento lascito, un documento scritto, una memoria morta? Arranchiamo faticosamente verso il monte per giungere a vedere solo un paesaggio pur splendido e un cielo di stelle la notte? Di quale visione sul monte noi siamo testimoni?
Discorrendo a una pizza tra amici, il mio interlocutore si accendeva al ricordo dei primi incontri con Chiara Lubich. Il desiderio di una ricerca – in un tempo della vita percepito spiritualmente desolato e senza alcuna chance - aveva spinto lui e la moglie fino a Trento, Loppiano, Rovigo. Ad un certo punto il suo cuore sobbalzò, non per una passeggera impressione, ma per la percezione di una cosa viva, che gli fece dire: “Io qui voglio stare”. E c’è ancora.
Non è lontano da questa esperienza quanto si percepisce in persone che hanno incontrato don Giussani, scoprendovi un accento che riportava immediatamente a riconoscere Cristo. Sta girando in questi giorni un video allegato al mensile Tracce, che riproduce un incontro di Giussani con gli studenti universitari nel 1994. Guardandolo, si rimane incollati per due ore, catturati dal fascino di una nuova scoperta di Gesù e dello svelamento della propria stessa persona. Ci si lascia invadere dal senso esauriente della vita, aperta a una comunione riconoscente e attiva, e disposti a giocarvisi interamente. Come disse ancora Pietro: “Da chi andremo, Signore?”. Accolto e amato da Cristo pur nell’amarezza del cocente tradimento, Pietro si sentì dire: “Simone di Giovanni, mi ami tu’”. E la Maddalena? Ha avuto il coraggio di stare sotto la croce di Gesù, e s’è trovata il mattino di Pasqua a protendersi verso di lui per abbracciarlo. Il cristianesimo è questo. L’amico di cui sopra si sentiva soffocare nella strettoia di un cristianesimo fatto di obblighi preconfezionati e incontri sedimentati. Che cosa vince nella persona, se non l’attrattiva della bellezza, il fascino della verità, la grazia di una Presenza che fa compagnia, ti precede ogni giorno e ti apre a tutto? Cristo che splende sul monte della nostra breve esistenza ci invita a stare con lui, e subito dopo lancia l’invito: “Ora scendiamo a valle, tutto il mondo ha bisogno di vedervi trasfigurati per quello che avete visto e udito”.
|
|